Wolfango: la nuova scena indipendente mi deprime
C’è la crisi. Per tutti. Nessuno escluso.
Sono i tempi.
Va così e non possiamo farci nulla.
Se non resistere, stringere i denti e cercare di mettere in salvo le chiappe.
Tempi bui. Economia a picco. Povertà che avanza.
I figli che stanno peggio dei padri.
Senza pensione. Senza lavoro. Senza casa. Senza famiglia. Senza figli.
Già vecchi prima di diventare genitori.
Gli esponenti della generazione sfigata.
Quella in subaffitto.
Che porta avanti i progetti. Del cazzo.
Che ognuno cerca di arrangiarsi come può.
Chi si re-inventa. Chi succhia il sangue ai suoi.
Chi suda sangue.
Chi scatarra.
E chi sputa sulla memoria dei genitori.
D’altronde, se tuo padre ha un’officina, puoi sempre imparare il mestiere.
Se ha una farmacia, ci vuole l’Università. Ma poi potrai comprarti un Suv.
Stesso discorso per lo studio di architettura.
Ma se tuo padre faceva il cantante?
E se suonava in uno dei gruppi che hanno fatto la storia della musica contemporanea?
Che fare allora?
Imparare a suonare uno strumento potrebbe essere un’idea.
Fare lo stesso genere di musica potrebbe essere una cattiva idea.
Mentre fondare una band che segue le orme del passato, ecco, questa sì che è l’idea.
L’idea più di merda che potesse esserci.
Non bastava starsene a casa?
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