Alle volte capita di svegliarsi con una canzone in testa.
Ti alzi dal letto senza voglia, fai lo sforzo di andare al bagno. Poi via: parte la canzone.
All’inizio le note si insinuano timidamente. Poi iniziano ad essere insistenti.
Ti martellano il cervello e ti costringono a cantare.
E non basta cantarla una volta. Pretende di essere ricordata più a lungo, la stronza.
E tu, schiavo, canti.
Non puoi farne a meno.
“… I didn’t know if I would live or die…”.
A me, ad esempio, è successo oggi.
Per l’ennesima volta.
Mossi i primi muscoli è partito il cervello e, contemporaneamente, la musica.
Con lei una sensazione ha iniziato a farsi strada.
Una sensazione di passato.
Di un passato non troppo lontano, ma comunque da libro di storia. Agli ultimi capitoli.
Quelli dove si parla di tensione, guerre fredde che si riscaldano pericolosamente e Paesi che, sfiorando il ridicolo, vengono divisi a metà.
Minacce nucleari. Est e Ovest. O, ancora, Nord e Sud.
Cose così insomma.
E stamattina era quello lo scenario musicale del mio cervello.
Con una canzone del 1994 su una guerra degli anni Cinquanta in testa, mi chiedevo cosa non andasse in me.
Non capivo perché diavolo dovessi cantare una canzone sulle bombe.
E poi, perché un gruppo americano che sceglie di chiamarsi “torta” – ovviamente in inglese, ché sono americani – canta di una vecchia guerra dei Cinquanta negli anni Novanta?
Perché?
Poi, aprendo il giornale, ho realizzato che vivo negli anni Cinquanta.
“I bombed Korea every night”
“I bombed Korea every night”
“I bombed Korea every night”